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Ricky Farina “vive e non lavora a Milano”. Le sue radici sono un caleidoscopio di luoghi della terra e dell’anima: dall’Egitto, alla Calabria, dalla Toscana alla Lombardia.
E’ forse questa mescolanza rappresentativa di un’arte che mesce quotidianamente tutte le umane contraddizioni e senza alcuno scopo di sanarle, con il solo fine di raccontare (a sé stesso prima che a tutti) un mondo fatto di esseri umani da amare, di luoghi, di cose dai quali lasciarsi affascinare.
E’ impossibile ripercorrere ognuna delle tappe del suo lavoro, che è travaglio continuo e continua necessità di esprimere.
Per nessuno come per Riccardo Farina vale la corrispondenza tra il proprio vissuto quotidiano e la scrittura. Tra la vita che gli scorre dentro e i suoi film.
La sua poesia è quella della quotidianità che diventa una talpa mistica e scava nelle profondità di una terra mai veramente conosciuta nella sua totalità: il nostro Io. Quell’Io che coincide con un’interiorità irriproducibile, se non mediante immagini che appartengono ad un comune codice di comunicazione. Allora un aforisma diventa un palcoscenico infinito. Un verso cela il bisogno –estremo-  di comunicare e di comunicarsi. Perché Riccardo si racconta. Non conosce segreto che non possa essere svelato. Il mistero della vita si riassume –e in maniera tutt’altro che abnorme-  in una storia d’amore tra un pesce e una margherita, in un “Don Chisciotte” sognante, simbolo di una natura sensualmente legata alla sua fanciullesca disperata visione della Speranza.



Poeta da sempre, la sua carriera come regista inizia nel 2002, quando gira, insieme a Valentino Murgese, La vampira emofiliaca. Dalla collaborazione con Murgese nasceranno Traum, l'illusionista (2003), Il palombaro (2004) e Festina Lente (2007).

Altra importante collaborazione è quella con il giornalista Piero Ricca, che vede la nascita di Qui Milano libera (sulle elezioni politiche del 2006), unico lungometraggio della produzione di Ricky Farina. Sempre nell'ambito della contestazione politica è da annoverare il corto Radio Foppa (2006), vincitore del primo premio al Fuori Controllo Film Festival. Sempre con Ricca realizza, nel 2012, Genti noa: i due intellettuali milanesi sostengono la lista civica Genti noa appunto nella campagna elettorale del borgo di Sant'Antioco in Sardegna. 

E' del 2008 uno dei lavori più noti di Ricky Farina, si tratta del reportage-denuncia Vietato respirare, scritto con Pietro Menditto e Diego Fabricio: un documentario sulla Napoli dilaniata dall'annoso problema dei rifiuti: Vietato respirare parteciperà a diversi festival, riscuotendo consensi di pubblico e critica.


I suoi ritratti dei poeti sono capolavori assoluti: Alda Merini, Silvano Agosti, Beppe Costa e Beatrice Niccolai, Nicolino Pompa; ai quali è da aggiungere Ritratto di un poeta defunto, un’opera singolarissima, dall’atmosfera calda e naif insieme. Un libro, una sigaretta e la luce di una lampada. Parole che scorrono: fotografie di un’esistenza.
C’è poi il filone più intimo, quello della nudità e del labirinto dell’anima, in cui il regista usa la sua macchina da presa come uno specchio, che riflette le proprie vicende, i propri umani deliri, le proprie danze davanti ad un mare rosso, ad un’alba, ad una Milano che vorrebbe salvare dalla piaga dell’indifferenza: penso a Ritratto di un telefonino, che è la sua grande storia di amore e di abbandono, di addii e di ritorni, di quell’incapacità catulliana di fare in modo che la pena passi e dunque il godimento della propria ostinazione nell’amore; per passare attraverso Ritratto del mio calorifero  o Ritratto delle mie tapparelle ... e, non ultimo, Ritratto del mio cervello:in questi film è tutta l’intimità lirica di Farina, quell’ “infinita varietà” che abita dentro un’anima nata per farsi poesia; un’anima che sa godere dell’ineffabile “vizio del patimento” e della perdizione in esso. Indimenticabili i suoi autoritratti, ironici, tragici, figli di una Hilarotragoedia che è fatta di giornate che penetrano fin “nell’intime midolla”. Film ironici, sensuali, tragici, canzonatori e bizzarri.

Altra tematica accattivante dell’arte fariniana è l’attenzione ai luoghi, in una sorta di religione del cosmo: è da qui che nasce Ritratto di un parco, Ritratto del mare e ancora Ritratto di un’alba, Ritratto di un pontile, Imbrunire e Dal balcone: questi film sono lo spaccato di un mondo all’interno del quale il regista vive interiorizzandolo. Non è il mondo a cambiare Farina, è lui, in veste di poeta, che ridipinge il mondo, lo trasfigura in una metamorfosi che è resa possibile dal suo sguardo così carnale, così mortale, così legato all’ombelico del mondo, dove tutti gli oracoli trovano la loro Origine e la loro Significazione. Nello spazio temporale dei film, il mondo diviene “farinocentrico”, è a misura di chi lo osserva e di chi sembra ricrearlo: il rischio sarebbe “l’effetto cartolina”. E non appartiene minimamente a chi ama cogliere ciò che per gli altri è da nascondere; in chi si sofferma ad osservare foglie annegate nella pioggia o un tombino; in chi guarda con stupore le ombre che si riflettono sulla spiaggia piuttosto che il tramonto; al passaggio di una formica affaticata piuttosto che al volo aperto di un gabbiano. E Farina è un dio, un dio umile. Non è onnipotente. Ma è un concentrato di essenza divina. E’ come se il sole delle sue mattine lo attraversasse e lui ne custodisse dentro i raggi lasciandosene bruciare. Per sentire dentro cosa significhi la sacra sintesi dei contrari che si rivelano.
Questo è il mondo visto da Farina. La stessa regola si può applicare all’umanità e vale per la storia come per la cronaca. Perché Farina è anche questo. Storia, attualità, politica, economia, diritti umani.
Singolarissimo il ritratto di Nori, Onorina Brambilla Pesce, partigiana, dalla cui storia nasce il libro “Il pane bianco, da una conversazione con Roberto Farina”;  struggente per la semplicità, toccante per la forza dei ricordi di Nori, che sembrano pennellate rosso sangue su una tela vergine; un film degno dei più riusciti documentari mai realizzati in Italia su quell’indimenticabile pagina di dolore e di morte.
Dalla storia all’attualità: ed il primo di questi film è Il volto delle donne, un reportage sulla manifestazione Se non ora quando del febbraio 2011, una giornata in cui il cielo di pioggia si è tinto di rosa e le donne hanno sentito il bisogno di gridare la propria voce in un’Italia allo sfacelo morale, sociale e lavorativo; altra colonna può essere considerato Come era verde la mia valle: il regista, accompagnato dalla sua “arma propria” si reca in Val di Susa per documentare la mobilitazione del popolo No Tav. Capolavoro indiscusso però di questo filone è da considerarsi Harka (diario tunisino): 20 minuti intensi in cui Farina da Ventimiglia, terra di confine e, insieme, terra di nessuno, baratta sigarette con testimonianze di vita vissuta in una povertà che si chiama fuga, che si chiama ricerca. Che ha il sapore di tutto ciò che è stato lasciato e che ha il suono dell’incertezza. Che è pur sempre meglio della miseria.
Come dimenticare ancora La leggerezza del gioco: un cortometraggio che racconta il gioco, lo sport, la competizione costruttiva dal punto di vista dei disabili, il loro entusiasmo, la loro voglia di vincere, la loro voglia di esserci.

Arriviamo infine al Farina dei tipi umani, al Farina curioso di questa varia e affascinante e fascinosa umanità: guidato dal suo viscerale amore per gli esseri umani e preda della sua innata curiosità racconta vite, racconta storie, racconta esseri umani che, per magia, davanti a lui si denudano e si raccontano. Nota dominante è la delicatezza con la quale il Farina si rapporta ai suoi interlocutori, questi attori magnifici, che magistralmente si muovono sul palco quotidiano dell’esistere, attori che recitano sé stessi; attori reali, senza esclusione di particolari tragici, senza l’accorgimento di non turbare gli spettatori. Tutto ciò che accade ai suoi Esseri Umani porta il marchio di Verità e nulla è disdicevole, nulla si può escludere. Tutto è dentro, nulla può rimanere fuori. Non c’è spazio per schermi o tagli o censure: tra gli altri spiccano Monica Pinna, una donna che ha combattuto la piaga dell’alcolismo e che senza vergogne da benpensanti si racconta al suo “amico” Riccardo, perché sta bene con lui; e c’è Gino, il centenario e poi c’è Pepè e c’è Madame Corelli , una sensualissima deliziosa tricotillomane; e ancora Monica e Carmencita , Sasà, Mario, Giordano e tanti tanti altri. In questa sfilata di umanità un posto d'onore spetta ad uno dei film considerato tra i più struggenti del Farina, Un carnevale nel tempo: esaltazione massima della diversità umana, una festa tra "disabili alla mediocrità" dai tratti lirici marcatissimi che diventa emozione e divertimento, riflessione e travolgente commistione di colori e forme. In questo e in molti altri film, Farina si avvale della collaborazione  dell'amico musicista Nicola Gelo, talentuoso pianista che compone pezzi inediti per le produzioni Chisciotte e per il quale Farina ha realizzato il suo unico videoclip, Nel tempo (2011).
E’ un quadro poetico per cui, con Marziale, potremmo dire “Hominem pagina nostra sapit”, poiché aderisce alla vita degli uomini, che si fa film, si fa immagine e in queste immagini ognuno si riconosce. E’ spregiudicato, espressivo e ne esce un ritratto colorito ed efficace del reale. Ogni creatura che egli carezza con la telecamera diviene simbolo di una situazione, di momento determinato, della storia e dell’attualità; è affascinato dagli uomini e dalle cose. E’ tutto un mondo ritratto in un gesto, in un atteggiamento. Trattato con sensibilità, con ironia a volte, con la maestria di chi il mondo lo osserva e se ne lascia sedurre. Fagocitare quasi. Per il gusto di esserne parte.


Stesso procedimento segue il Farina poeta. Il Farina che si lascia catturare dalla parola. Liriche lunghe e brevi sono le sue. Alcune abissali; altre assolutamente inaspettate, proposte come un divertissement; è la poetica della leggerezza che si fa tragica. E’ poesia di buchi neri e stelle; di Erebo e Campi Elisi. E’ poesia di abbandoni e di speranze.
Una sua peculiare predilezione va, come accennato, all’aforisma: breve come un lampo; dall’effetto immediato, ora nel senso di una realtà che fa continuamente i conti con l’inesorabile, ora nell’aloghìa del disorientamento.
Temi cari al Farina sono la morte, l’amore, il cibo, nella sua carnalità. E’ una poetica degli oggetti la sua, che ripercorre nella poesia quel particolare aspetto di alcuni suoi film quali Ritratto di Mollette  o Ritratto del mio phon e, ancor di più, Ritratto di tre cose.
Tra le sue ultime sperimentazioni è da annoverare la poesia dialogica, i cui esempi più preziosi sono Il diavolo intervista Ricky Farina, Lo psicanalista e Ricky Farina, Dialogo tra sassi e Dialogo tra sessi.

Tra le sue liriche più importanti, un posto senza dubbio di rilievo per originalità, nello stile, nella versificazione e nella scelta di ogni singola immagine, spetta a “Vorrei scrivere una poesia d’amore”, icastica e immaginifica al tempo stesso. Perché Farina costruisce storie infinite con tre versi soltanto. Perché Farina passa da Ode al formaggio a Poesia del moscerino a Il segreto della terra.

Tutto questo è autoritratto, autobiografia. Parabola magnifica di un’esistenza che non conosce regola, né catalogazione. Farina è uno di quegli esseri umani che gioca per le strade di Milano come un ragazzino e si commuove stretto in una vecchia giacca per un pittore andato via troppo presto. Farina è poeta. Ed è impossibile raccontarlo. E’ una di quelle persone che camminano per strada e perdono i calzini, ma poi si fermano e, senza averli ritrovati, hanno imparato persino a morire.
Farina è uno di quelli che non conoscono il tempo e neanche lo spazio. Farina non è vittima della necessità. E’ Arte. Farina è uno di quelli che ti leggono dentro. Ti spogliano. E poi ti fanno capire che l’unico abito che vale la pena di indossare è la propria nudità. Perché “quando ti senti morire […] vai al mare e sogni annegamenti celesti” e la disperazione diventa carme. Che si innalza a quel fango creaturale di cui è pregna  una sua camicia bianca.

   

Francesca Aurelio  

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