top of page

CHRONICON

 

FESTA DELLA POESIA

CINEMA AZZURRO SCIPIONI

21 dicembre 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricky Farina, il "poeta randagio" è l'ospite d'onore. 
 

 

L’ospite aveva una ferita e nessuno se n’è accorto.

                                                                                                                                                         Platone, Simposio.

 

 

Solstizio d’inverno: tutto è celato nel grembo della Terra. Il seme muore, deve deflagrare per poter germogliare. Il silenzio ascolta se stesso. E il Poeta batte il ritmo sordo di una follia che percuote la Terra-Utero per farne altare di creazione. E’ questo il pensiero che accompagna i passi disarmonici e disorientati di una donna in un notturno romano al ventuno di Dicembre.

Al Cinema Azzurro Scipioni, in Via degli Scipioni 82, si celebra la Festa della poesia: è questa la meta di quel disorientamento disarmonico.

 Silvano Agosti ha fatto di questo luogo la sua Kirghisia e in Kirghisia, si sa, “se qualcuno desidera fare l’amore, mette un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che tutti lo sappiano”. La Festa della poesia è un baccanale di emozioni, pensato da Agosti anche per chi vuole essere compagno di viaggio del silenzio. Il 21 di dicembre i simposiasti hanno tutti sul petto quel fiore azzurro.

Un pianista, Nicola Gelo, con le mani di velluto e gli occhi “di pietra” che si lasciano scavare dalle carezze della notte, apre la serata. Gelo non si trova lì per caso: compone per l’<<ospite d’onore>> le sue “improvvisazioni”. L’ospite è Ricky Farina. E, quando arriva lui, si apre il sipario sulla natura del mistero e sulla sua perpetua danza a spirale.

Ricky Farina si diagnostica una “dissociazione testicolare”, si dice un “cinico materialista”, che nessuno ha mai visto esitare a dare la vita “per salvare un fiore”. Spia il ramo dei desideri quotidiani da un buco della serratura privilegiato: esso è l’universo.

In sala Chaplin si respira un'atmosfera surreale. Le forme si dissolvono e ci si trova quasi al centro di una rarefazione ottagonale di silenzi: essi si esplicano nei labirinti circolari che abitano gli occhi nascosti di quest’uomo. Riccardo è una sfinge: il suo enigma ha sede nello spazio incuneato tra i suoi occhi ed una lacrima. Riccardo è un dio titanico, che, solo se eiacula parole e immagini, crede di vincere la sua solitudine bellissima. E Silvano Agosti, cerimoniere ora imperioso, ora suadente come un gatto dal pelo maculato, ne vuol cogliere le coreografie interiori esponendolo al pubblico, come si fa con gli scandali di meraviglia.
L’ospite d’onore non è un animale da palcoscenico, non lo sarà mai: l’ospite, infatti, non ha il pelo sullo stomaco per essere un funambolo e, per fortuna, non ha peli neanche sulla lingua, così da essere uno la cui materia che tratta si chiama Verità.
E allora si declina una grammatica soltanto: quella di una puttana che non usa belletti e trasforma la pigrizia degli ingiusti in stile di vita.

Ricky Farina, nel primo giorno d'inverno, è stato il senso della novità. E' stato nuovo il suo modo di porsi al pubblico, di vivere il suo essere "ospite d'onore": mai autocelebrativo, mai autoreferenziale (non c'è in lui né la spocchia del poeta, né l'aura mistica dei predicatori dell'ultima ora ai quali oramai siamo abituati).

Un uomo umile. Nella cui umiltà ho trovato timidezza e tenerezza. Un'insicurezza che non ha macchiato la sua autenticità, l'ha resa, al contrario, cristallina. La sua poetica della brevitas è eleganza: sul grande schermo allora si sono avvicendati Così vicini così lontani (corto che reputo "cinematografico", poiché  ha "sbattuto in faccia", senza prologhi né epiloghi, una realtà che ci appartiene e spesso, per comodità, non vediamo), Halloween segreto (riconosciuto dai più come uno dei capolavori fariniani, "ha reso" quell'<<entrare dentro>> che poi il pubblico ha ritrovato in Violino di Agosti: il corto di Farina è entrato nella caverna di un disagio esistenziale che si fa presto a chiudere in un “posto a sé”, mentre il corto di Agosti ha penetrato la stregoneria di un violino che centellinava insoddisfazioni al tempo in cui è nato il film, come l’autore stesso ha raccontato); Pipetta e il suo volto, sul "giallo acido" delle sue pareti, è stato l'amaro in bocca gustato con una nota di dolcezza: ha avuto la funzione di antidoto a precedere, contro ogni regola, il veleno.

L’acme della serata è stata la proiezione di Alda di Ricky Farina e Giardino d'inverno di Silvano Agosti. Giardino d'inverno è un docufilm, di quaranta minuti,  con e su Alda Merini. Proserpina lieve vi si racconta ironica, dolcissima, commovente. Aneddoti nuovi, espressioni irripetibili.

Ma Alda resta Alda. Perchè Alda leva il fiato. Alda è la spontaneità, è l'incoscienza. Alda è Alda Merini e Farina insieme. Senza che né l'una né l'altro lo hanno mai saputo. Il cortometraggio di Farina è opera ineguagliabile. E’ un’istantanea che ha colto l’eternità. E’ un gerundio sempiterno, che non può morire: forse questo è il senso dell’arte e Alda, dunque, è il film che ne diviene sintesi straordinaria.

Tra un film e l'altro, gli intermezzi Agosti-Farina: in questi siparietti avrei preferito una maggiore fluidità, forse un'organizzazione più attenta. Avrei affidato meno all'improvvisazione e avrei optato per una chiacchierata-confronto tra poeti e registi. Alla pari. Non m'è piaciuto quando Silvano ha chiesto a Riccardo di “dire gli aforismi”: perle buttate in un mare magnum che avrei invece valorizzato diversamente.

Per desiderio dell’ospite d’onore, ha preso parte alla serata anche il poeta Nicolino Pompa, una vera perla che ha arricchito una magia.

La sala non era gremita, ma questo ha permesso un'intimità che personalmente amo. Perchè a parlare alle folle, al giorno d'oggi, sono bravi tutti.

Riccardo Farina è come una sacerdotessa, che potrebbe chiamarsi Iside: mostra le sue carni sfatte e si lascia amare; segna a dito stelle che pungono e le copre con le sue porpore segrete; è una sacerdotessa che sta seduta sul muricciolo di un museo, a sera, aspetta che l’ardire di una bambina scombinata vinca il pudore con un bacio per guardare voli di stormi neri che segnano il crepuscolo con ghirigori gorgheggianti al limitare della storia, quando essa muore.

Rimane la ferita dell’ospite. Quella ancestrale, quella che nessuno vedrà mai. Quella che fa scaturire il fuoco dal sangue placentare. Quella della quale forse non importerà mai a nessuno. E che forse ricorderà solo quella bambina un po’ deforme un attimo prima di saltare fuori dall’abisso, quando avrà deciso di recidere l’apnea. 

            

                                                                                                                                                Medea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

bottom of page